Prologo
Isole Arginuse, Grecia. Una flotta da guerra spartana si appresta ad affrontare la flotta ateniese giunta in soccorso di Mitilene. Il mare è spazzato dal vento. Vengono consultati gli indovini. Quando si potrà combattere? chiedono i comandanti delle triremi. Dovete pazientare, rispondono gli indovini. I responsi sono sfavorevoli.
Mentre sul bagnasciuga si stanno ancora celebrando i sacrifici, un’onda più alta delle altre trascina in mare la testa della vittima. Un indovino cerca con lo sguardo Callicratida, l’ammiraglio spartano. “Quando si combatterà- afferma con voce grave- il comandante morirà in battaglia.”
Callicratida sostiene lo sguardo dell’indovino e, impassibile, risponde: “La salvezza di Sparta non dipende dalla vita di uno solo.”
Dalla vita di uno solo forse no, ma dalle triremi della flotta sicuramente sì.
Due vesti per Lisandro
Atene era una potenza marittima, Sparta una potenza continentale. Fino a quando la flotta ateniese avesse dominato i mari, Sparta non avrebbe potuto spuntarla; fino a quando Sparta avesse continuato ad avere la supremazia sulla terraferma, Atene non avrebbe vinto. La guerra sarebbe finita solo se Atene avesse definitivamente sconfitto Sparta in una battaglia campale o se Sparta avesse sconfitto Atene in una battaglia navale decisiva. Non c’erano altre alternative.
Atene c’era andata molto vicino. Nel 406 a.c., presso le isole Arginuse( a est dell’odierna Lesbo), i navarchi ateniesi avevano inferto un colpo durissimo alla flotta spartana, sbaragliandola.
Sembrava la fine di tutto. Invece era solo l’inizio. Gli ammiragli ateniesi vittoriosi furono richiamati in patria, accusati di non aver prestato soccorso ai naufraghi, processati, condannati a morte e giustiziati. Due di loro non tornarono e si salvarono. Subito dopo le Arginuse, Sparta offrì la pace. Atene rifiutò. Il rifiuto ateniese e la perdita di comandanti esperti e capaci sarebbero stati pagati a caro prezzo l’anno seguente.
Le flotte da guerra costano. Costruire e mantenere in efficienza una trireme richiede molto denaro. E che dire dei rematori? Bisogna pagarli bene e, soprattutto, con regolarità. È nota la risposta del navarco spartano Lisandro a Ciro, figlio del re di Persia Dario II: “ Posso avere quello che voglio? Allora dammi il denaro necessario per aumentare la paga dei miei rematori.” Lisandro lo sapeva bene: attirati da una paga più alta, molti rematori assoldati da Atene( da tempo Atene faceva ampio ricorso a mercenari) avrebbero cercato di disertare per passare dalla sua parte. Chi fosse rimasto, avrebbe mugugnato e remato di malavoglia.
Atene aveva ancora una flotta poderosa, ma, in quanto a soldi, stava raschiando il barile. Al contrario, Sparta riceveva cospicui finanziamenti dai Persiani, coi quali aveva stretto un trattato di alleanza dopo l’intervento ateniese in Caria a sostegno di Amorge [1]. Secondo il trattato, chiunque fosse stato nemico della Persia sarebbe stato anche nemico di Sparta.
Il denaro persiano cambiò il corso della guerra. Dopo le Arginuse, Sparta ricostruì la propria flotta a tempo di record e riprese i raid lungo le coste dell’Asia Minore. La comandava il navarco Lisandro anche se , formalmente, il comandante era un altro. La legge spartana negava agli ammiragli il doppio mandato. Lisandro aveva già esercitato quel comando nel 407 e non poteva più essere riconfermato. Ma Lisandro era amato dai marinai della flotta, ci sapeva fare, godeva dell’amicizia e dell’appoggio di Ciro. Rinunciare a lui sarebbe stato un errore. Peggio: un regalo fatto al nemico. Dopo la morte di Callicratida alle Arginuse, gli Efori, dovendone sceglierne il sostituto, nominarono allora navarco un certo Araco e gli misero a fianco Lisandro come vice. Tutte le fonti antiche concordano: Araco contava niente, il vero comandante era Lisandro.
Ambizioso, furbo, abile, spietato, opportunista, grande intrallazzatore, Lisandro sarebbe piaciuto al nostro Machiavelli. Passava per un uomo tutto d’un pezzo, incorruttibile, ma a volte si contraddiceva. Un esempio? Quando riceve in dono vesti preziose per le sue due figlie da parte di Dionisio di Siracusa le rifiuta. Con questa motivazione: non voglio che le mie figlie, con questi vesti indosso, sembrino brutte. Un vero Spartano, verrebbe da dire.
Qualche anno dopo, mentre si trova in qualità di ambasciatore presso lo stesso Dionisio, riceve di nuovo due vesti preziose. Quale scegli per tua figlia? gli viene chiesto. Mia figlia sa scegliere meglio di me, risponde. E se le porta via entrambe[2].
E che dire delle manovre, degli intrallazzi, dei tentativi di corruzione compiuti anche in alto loco ( sacerdoti, sacerdotesse) per scalzare dal potere le famiglie regnanti e farsi egli stesso re di Sparta? O di quando fu denunciato dal satrapo persiano Farnabazo per i suoi eccessi nella provincia della Frigia Ellespontica ( oggi la parte occidentale dell’Afganistan)? E si potrebbe continuare.
I fiumi della capra
Contraddittorio o no, Lisandro è comunque un comandante accorto. E prudente. Sa delle difficoltà finanziarie di Atene, è consapevole della forza della propria flotta, non vuole perdere i vantaggi di cui gode giocandosi tutto con una mossa avventata. Aspetta il momento propizio. Prima o poi Atene uscirà allo scoperto, si farà trascinare dalla foga e commetterà qualche errore. Allora e solo allora la flotta spartana colpirà. Definitivamente.
Il suo giocare al gatto col topo lungo le coste dell’Asia Minore lo porta ad occupare Lampsaco. Situata sulla riva orientale dello Stretto dei Dardanelli, nell’odierna Turchia, Lampsaco( oggi Lepsel) controlla la via marittima attraverso la quale passa il grano destinato ad Atene.
Quando la notizia di navi e di opliti spartani diretti a Lampsaco raggiunge Atene, una flotta da guerra di 180 triremi con 36.000 uomini a bordo viene inviata in tutta fretta verso l’Ellesponto: ha il compito di impedire la conquista della città da parte di Lisandro. Ma quando arriva è già troppo tardi: la città è stata occupata e le navi spartane sono alla fonda nel suo ottimo porto. I navarchi ateniesi portano allora la flotta sulla sponda occidentale dell’Ellesponto e si schierano dirimpetto alle triremi nemiche in una località chiamata Egospotami( letteralmente: “ I fiumi della capra.”) [3]
È un posto infame. Non c’è un porto, non c’è una città vicina presso la quale rifornirsi, niente. Solo un’ampia spiaggia priva di approdi. Quando non sono operative, le navi devono essere tirate in secca; siccome c’è poco da mangiare, i marinai scendono a terra e si disperdono in lungo e in largo in cerca di cibo. C’è dunque un momento in cui la flotta ateniese è estremamente vulnerabile- navi in secca, equipaggi chissà dove- e il nemico potrebbe approfittarne.
A questo punto viene da chiedersi: perché Egospotami? Perché non Sesto ( Sestos), distante una quindicina di chilometri più a sud? La spiegazione è semplice: i navarchi ateniesi hanno fretta. Fretta di attaccare battaglia, fretta di sbarazzarsi della flotta nemica, fretta di riaprire quella via di comunicazione vitale per Atene, fretta di chiudere una volta per tutte quella guerra. A differenza di Lisandro non possono permettersi di aspettare, di procrastinare o di tirarla per le lunghe. Atene è ridotta alla fame, ha l’acqua alla gola e le casse vuote. Ecco perché ogni mattina i navarchi ateniesi escono con la flotta incontro al nemico: vogliono provocarlo, costringerlo a uscire da Lampsaco, piombargli addosso e ripetere il successo delle Arginuse. Se scegliessero Sesto come base avrebbero sì viveri in abbondanza e un approdo sicuro, ma non potrebbero tenere sotto stretto e costante controllo la flotta nemica né uscirle incontro ogni mattina. Il tragitto da Sesto a Lampsaco, infatti, è lungo, i rematori si stancherebbero e non sarebbero in piena efficienza al momento di menare le mani (Kagan).
Lisandro , però, “smette la pelle del leone e veste quella della volpe”: ignora deliberatamente le provocazioni ateniesi e se ne resta tranquillo a Lampsaco. Può farlo: il tempo e i darici persiani giocano a suo favore.
Dal canto loro, i comandanti ateniesi sono in fibrillazione: si esce in mare per combattere e la sera si deve far ritorno senza aver combattuto. Più il tempo passa, più la frustrazione e il nervosismo aumentano. Gli ammiragli ateniesi sono almeno sei, forse sette se si prende per buono il riferimento a un tale Erissimaco contenuto in un frammento dell’oratore Lisia. Conone è bravo, ma è l’unico. Filocle non ha esperienza; Menandro è irruento e precipitoso; Tideo è coraggioso, ma non ha mai esercitato il comando; Cefisodoto è un mistero; Adimanto può vantare solo la sua amicizia con Alcibiade; Erissimaco – ammesso che sia presente- vale poco se né Diodoro Siculo né Senofonte lo nominano nei loro resoconti.
Per legge esercitano il comando a turno, un giorno per uno. E questo può essere un guaio, vista la scarsa esperienza della maggior parte di loro. E non è tutto: a complicare ancora di più la situazione si fa vivo un pezzo da novanta: Alcibiade.
E il suo arrivo aggiunge problema a problema, tensione a tensione.
Un’inquietante presenza.
Allontanato da Atene dopo la rocambolesca sconfitta subita dalla flotta ateniese a Nozio( 407), Alcibiade si è ritirato da queste parti dove risiede in una specie di castello. Nell’arrivo della flotta vede un’ occasione forse unica per uscire dall’ombra e per tornare protagonista sulla scena politica.
Alcibiade non è un personaggio qualsiasi. In quella guerra ha esercitato un ruolo di primo piano. Ricco di famiglia, intelligente ma dissoluto, amico ( e, forse, amante) di Socrate, grande trascinatore di folle, facile agli eccessi[4], ha colto vittorie e subito sconfitte, ha tradito ed è stato perdonato, si è reso protagonista di giravolte politiche e si è fatto promotore della fallimentare spedizione in Sicilia. La sua stella, un tempo così luminosa, ormai è al tramonto. Forse il solo Adimanto nutre fiducia in lui, gli altri comandanti ne diffidano. Ma non possono non ascoltarlo.
Alcibiade ha consigli per tutti e amicizie importanti da millantare. In particolare gli stretti rapporti con i re traci Medoco e Seuthes. Spostatevi a Sesto, suggerisce. Lì troverete condizioni migliori e viveri in abbondanza. Attaccheremo gli Spartani per terra e per mare. Medoco e Seuthes ci forniranno le truppe necessarie per ottenere la vittoria decisiva. Unica condizione: anch’io voglio essere della partita e condividere con voi il comando.
I navarchi ateniesi saranno anche inesperti, ma non sono completamente stupidi. Se accettiamo i suoi consigli, diamo battaglia e vinciamo, i meriti se li prenderà tutti lui. Se, invece, le buschiamo di brutto, la colpa sarà nostra. Le truppe tracie? Sono sull’altra riva dell’Ellesponto. Per portarle sul luogo di battaglia- sempre ammesso che Medoco e Seuthes vogliano aiutarci- dovremmo traghettarle con le nostre navi. E , secondo voi, vedendo tutti quegli spostamenti, Lisandro se ne starà con le mani in mano? Ancora: e se Alcibiade fosse qui per ingannarci? Se fosse in combutta con Lisandro al solo scopo di farci perdere tempo e di innervosirci ulteriormente? Ha tradito una volta, può tradire ancora. No, niente da fare, caro Alcibiade. Grazie dei consigli, ma i comandanti siamo noi. E facciamo di testa nostra. [5]
Una giornata controversa.
All’alba del sesto giorno, come al solito, la flotta ateniese al comando di Filocle si prepara a prendere il mare e a schierarsi di fonte al nemico per provocarlo a battaglia. Un altro giorno inutile, pensano i marinai e i rematori mentre salgono a bordo. E, infatti, sul far della sera la flotta, come al solito, è di ritorno senza aver combattuto. Gli equipaggi tirano in secco le triremi e poi si disperdono nei dintorni in cerca di qualcosa da mangiare. Non sanno di essere osservati. Quella vecchia volpe di Lisandro ha mandato una trireme- come ha fatto nei cinque giorni precedenti- a sorvegliare a distanza la flotta nemica. A un certo punto dalla nave-spia parte un segnale. Ricevuto il segnale, le triremi spartane lasciano il porto di Lampsaco, si lanciano in avanti, piombano sulle navi ateniesi in secca e prive di equipaggi e le catturano. Solo otto triremi al comando di Conone e la nave sacra Paralo riescono a prendere il mare e a dileguarsi.
Questa è la nota versione fornitaci da Senofonte. Secondo lui , dunque, a Egospotami non ci fu alcuna battaglia navale: le triremi ateniesi furono semplicemente distrutte o catturate mentre erano in secca. Qualcuno, ovviamente, ha sollevato obiezioni. In un frammento di Lisia, Egospotami è associato al termine naumachia ( battaglia fra navi). Dunque, uno scontro in mare aperto, almeno secondo Lisia, ci deve essere stato. Inoltre, che tipo di segnale ha inviato la nave-spia per avvisare Lisandro? E come ha fatto il navarco spartano a riceverlo così tempestivamente , vista la distanza fra la nave-spia e il porto di Lampsaco? Di qui l’ovvia conclusione: Senofonte si è lasciato prendere la mano, romanzando per così dire la vicenda al solo scopo di celebrare il genio militare di Lisandro, autore, al momento giusto, di un magistrale e risolutivo colpo di mano. Inoltre, se proprio vogliamo dirla tutta, non è che Senofonte sia molto ferrato nelle cose di mare in generale e nella naumachia in particolare. Dunque, afferma chi obietta, andiamoci piano prima di prendere per oro colato la sua versione.
All’alba del sesto giorno, come al solito, la flotta ateniese al comando di Filocle si prepara a prendere il mare e a schierarsi di fronte al nemico per provocarlo a battaglia. I preparativi sono ancora in corso, quando trenta navi guidate da Filocle in persona prendono il largo in direzione di Sesto. Avvisato da alcuni disertori, Lisandro esce con la flotta da Lampsaco, impegna Filocle in un breve scontro e, dopo averlo inseguito, piomba sulle restanti navi ateniesi non ancora in assetto di combattimento e se ne impadronisce. Contemporaneamente, una forza anfibia sbarcata al comando di Eteonico attacca l’accampamento nemico, seminando il panico ovunque. Conone riesce ad allontanarsi con dieci navi e si rifugia a Cipro.
Questa è l’altrettanto nota versione fornitaci da Diodoro Siculo. Secondo lui, dunque, una battaglia navale, seppure di breve intensità, fu combattuta nel mare antistante Egospotami. Ma come spiegare la mossa di Filocrate? È una mossa studiata per fare uscire Lisandro da Lampsaco? Le sue trenta navi dovrebbero fare da esca e solo l’inesperienza e la dabbenaggine dei vari Tideo, Menandro e Adimanto impediscono alla trappola di scattare? O è uscito come al solito per provocare Lisandro e ha perso contatto con il resto della flotta? O vuole dirigersi a Sesto per fare rifornimento di viveri, visto che ormai i morsi della fame si sono fatti insopportabili ? O vuole, semplicemente, seguire il consiglio di Alcibiade?
Nelle fonti antiche non si trovano elementi per dare una risposta chiara a tutte queste domande. Si può dunque solo procedere per ipotesi. L’imboscata? Possibile, ma poco probabile. Dividere la flotta significa indebolirla e quella vecchia volpe di Lisandro potrebbe approfittarne immediatamente. Inoltre e questo Diodoro lo scrive- il braccio di mare è troppo stretto. E se è troppo stretto, i margini di manovra si riducono. E se i margini di manovra si riducono, Filocrate non può allontanarsi, richiamare su di sé le navi nemiche e poi tornare per chiudere la trappola.
Ammettiamo ora, per un momento, che possa arrivare a Sesto sano e salvo. Riuscirebbe a tornare indietro in tempo per dare man forte al resto della flotta? Improbabile. Ma se anche ce la facesse, in quali condizioni sarebbero i suoi marinai e i suoi rematori dopo tante ore passate in mare? Non sarebbero, forse, stanchi, affaticati e, per questo, impreparati ad affrontare un combattimento?
Filocle ha perso il contatto con la flotta perché è partito troppo presto e avventatamente? Poco probabile. Non ha senso uscire con poche navi quando il grosso della flotta non è ancora pronto a prendere il mare. Filocle sarà anche inesperto, ma non è cieco. Finché l’intera flotta non fosse stata in assetto di combattimento, non sarebbe mai salpato.
Trasferirsi a Sesto seguendo il consiglio di Alcibiade? Possibile. Ma allora perché l’intera flotta non lo fa? L’ ipotesi più verosimile resta dunque quella della sortita per procurarsi cibo e vettovaglie.
Ma c’è anche chi tira in ballo l’ipotesi di un tradimento. Lo fa Lisia, lo fa Pausania. Per loro, la manovra apparentemente senza capo né coda della flotta ateniese è dovuta alla confusione e alla disorganizzazione provocate ad arte da uno o più comandanti felloni. Resta comunque difficile stabilire con certezza non solo l’esistenza del tradimento, ma anche chi eventualmente tradì. Non Filocle ( pagherà con la vita), non Conone. Forse Adimanto ( sarà risparmiato da Lisandro), forse Erissimaco. E Alcibiade? Perché si presenta a Egospotami? Per amor di patria o perché in combutta con Lisandro?
Criminali di guerra.
Atene aveva stabilito per decreto che ai prigionieri fosse tagliata la mano destra ( secondo Plutarco, il piede destro) affinché non potessero più combattere o remare. A causa di questo decreto( dubbio, controverso e, forse, mai messo in pratica. Diodoro, ad esempio, non lo nomina), gli Ateniesi catturati a Egospotami furono considerati “ criminali di guerra” e, a detta di Senofonte, giustiziati. Ai cadaveri, per ordine esplicito di Lisandro, non fu data sepoltura. Il solo Adimanto ebbe salva la vita, perché, in passato, si era opposto a quel decreto infame.
Ma quanti erano? E furono davvero giustiziati in massa? Senofonte non fornisce cifre precise. Secondo lui quasi tutti i combattenti ateniesi, inclusi Filocle e Adimanto, furono presi prigionieri. Diodoro, invece, è del parere opposto: la maggior parte di loro riuscì a raggiungere Sesto. Di conseguenza, non accenna a esecuzioni di massa: il solo nome che compare nella sua narrazione è quello di Filocle. Plutarco, invece, fornisce cifre precise. Secondo quanto scrive nella Vita di Alcibiade, tremila prigionieri ateniesi furono giustiziati dopo la battaglia.
Se dobbiamo dunque credere a Senofonte, non meno di venticinque-ventottomila prigionieri avrebbero dovuto essere interrogati, sorvegliati, divisi per nazionalità ( ai non ateniesi, infatti, era stata risparmiata la vita) da poche migliaia di Spartani. Si trattava di un lavoro lunghissimo, faticoso e snervante. Intendiamoci: Lisandro lo avrebbe anche autorizzato. Se gli fosse convenuto. Ma gli conveniva? Gli conveniva davvero? Probabilmente Sparta non avrebbe approvato[6]; la Grecia tutta sarebbe inorridita una volta appreso del massacro. Lisandro era consapevole di tutto questo e se avesse assassinato a sangue freddo i prigionieri si sarebbe potuto giocare tutto il prestigio guadagnato nella giornata di Egospotami.
È vero: gran parte dei prigionieri ateniesi apparteneva alle classi popolari, di orientamento democratico. Lisandro, di convinzioni profondamente oligarchiche, avrebbe in questo modo ridotto in maniera consistente la fazione democratica in Atene. Ma ne sarebbe valsa davvero la pena? O, al contrario, non sarebbe stato meglio lasciare liberi i prigionieri? Con l’arrivo di nuove bocche da sfamare, un’Atene già ridotta alla fame non avrebbe potuto resistere per molto tempo. Quando prese Sesto, non si affrettò, forse -come scrive Diodoro- a stipulare una tregua e a mandare liberi coloro che lì si erano rifugiati dopo Egospotami?
E poi, dove? come? A Lampsaco? Trasportare i prigionieri a Lampsaco avrebbe richiesto una fatica ulteriore. Sgozzarli uno a uno- per ore e ore- avrebbe messo a dura prova i nervi di chiunque, anche quelli dei soldati più duri. Per tutte queste ragioni, alcuni studiosi moderni avanzano seri dubbi circa le esecuzioni di massa ordinate da Lisandro dopo la battaglia di Egospotami.
Una cosa comunque è certa: dopo Egospotami Atene non ha più una flotta. Né i soldi per allestirne un’altra. È completamente alla mercé del nemico.
Epilogo
La nave sacra Paralo si avvicina nell’oscurità al porto del Pireo. Porta notizie da Egospotami. Non sono buone notizie. Ben presto, correndo di bocca in bocca, esse raggiungono gli abitanti della città. Lo sconforto è generale. È una notte di dolore e di lamenti, nessuno riesce a dormire. Si piangono i morti di Egospotami, si guarda al futuro con preoccupazione, si temono vendette e ritorsioni. Il giorno dopo vengono sbarrati gli accessi ai porti, se ne lascia aperto uno soltanto. Le mura vengono rafforzate, vengono istituiti posti di guardia. La città si aspetta un assedio e si prepara ad affrontarlo.
La resa dei conti sta per arrivare.
Da leggere:
Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, XIII, 104.8- 106.8, BUR, 2016
Andrea Frediani, Le grandi battaglie dell’Antichità, Newton Compton
Victor Davis Hanson, Una guerra diversa da tutte le altre, Garzanti, 2009
Mark Hay, Aegospotamoi, in Livius.org Articles on ancient history
Donald Kagan, La Guerra del Peloponneso, Mondadori, Oscar Storia, 2015
Plutarco, Vite Parallele, Vita di Alcibiade, Vita di Lisandro, UTET, 2010
Senofonte, Elleniche, 2.2. 17-32, BUR, 2002
Graham Wylie, What really happened at Aegospotami, articolo web
Su questo sito puoi leggere altri post relativi alla guerra del Peloponneso
Lo scudo di Brasida
Guerra del Peloponneso( 431-404 a.c.). Una tempesta porta quaranta triremi ateniesi a Pilo, in territorio nemico. La reazione spartana non è immediata. Gli Ateniesi si fortificano e aspettano.
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[1]Nel 420 a.c. Amorge, figlio illegittimo del satrapo di Lidia Pissutne, si ribellò al re di Persia Dario II. Occupò il porto di Iaso , situato fra Mileto e Alicarnasso ( l’attuale Bodrum, in Turchia), assoldò mercenari , chiese e ottenne l’appoggio di Atene. Nell’inverno del 412/411, navi spartane entrarono nel porto di Iaso. La città, non più protetta da Atene, la cui flotta era stata semidistrutta durante la disastrosa spedizione in Sicilia, fu occupata. Amorge fu catturato e consegnato a Tissaferne, incaricato da Dario di reprimere la ribellione.
[2] L’aneddoto è raccontato da Plutarco( Vita di Lisandro, 2. 4-5 ), il quale prima usa il plurale ( “figlie”) e, qualche rigo dopo, il singolare( “figlia”). E’ quindi probabile che una sola delle figlie di Lisandro abbia accompagnato il padre a Siracusa. Ma è solo un’ipotesi.
[3] Jean François Bommelaer situa la località di Egospotami a nordest dell’odierna Sütlüce, alla foce di un fiume chiamato Büyük Dere. Nelle vicinanze, infatti, ci sono due fiumi ( Il Büyük Dere e il Kozlu Dere),- in greco antico potamoi ( singolare potamos)- il che giustificherebbe l’uso del plurale da parte degli autori classici nel toponimo Aegospotamoi. Secondo altri studiosi quella di Bommelaer è un’ipotesi più plausibile di quella che vede il terzo fiume ( il Karakova Dere) come luogo dell’approdo ateniese. Da qui, infatti, in caso gli Spartani fossero usciti da Lampsaco, la flotta ateniese avrebbe dovuto remare controcorrente – con notevole dispendio di energie- per intercettare il nemico. Cliccando su questo link, si accede a una pagina di testo ( autore uno dei massimi studiosi della Guerra del Peloponneso, Donald Kagan) in cui alla nota n. 35 viene illustrata la localizzazione di Egospotami. Nella pagina successiva si può prendere visione di una mappa del luogo. Il testo è in inglese.
[4] Senofonte lo definisce “ sfrenato, arrogante, violento” ( Memorabili, I,2, 12)
[5] Sul ruolo di Alcibiade a Egospotami, le versioni degli storici antichi divergono. Senofonte ( Elleniche, 2.2. 17-32 ) si limita a poche battute: Alcibiade arrivò, ebbe da ridire su come veniva mantenuta la disciplina e non aggiunse altro. In altri termini, secondo Senofonte, Alcibiade non chiese di essere cooptato nel comando né promise l’intervento di truppe tracie. Anche Plutarco( Vita di Alcibiade, XXXVI, 5; XXXVII, 1) non menziona la richiesta di condivisione del comando, mentre riporta il consiglio di spostarsi a Sesto. Secondo Diodoro Siculo ( Biblioteca Storica, 13.104-8-106-8), invece, Alcibiade chiese il comando in cambio dei consigli e della promessa di guadagnare alla causa di Atene i re traci Medoco e Seuthes, ricevendo un netto rifiuto da parte di Tideo e Menandro. L’ipotesi della combutta fra Alcibiade e Lisandro è avanzata da uno storico moderno: Graham. Wylie ( What really happened at Aegospotamoi?L’Antiquité classiques, 55) .
[6] Nel 404, ad esempio, dopo la resa di Atene, Sparta si oppose alla distruzione della città come richiesto da Corinzi e Tebani. Atene ha salvato la Grecia dai Persiani, non può essere distrutta, fu la motivazione adottata dagli Efori spartani.
L’immagine di apertura è tratta dal seguente sito web: http://greekhistoryandprehistory.blogspot.it
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