Per terra e per mare.
La leggenda di Austerlitz comincia in Francia, a Boulogne, dove la Grande Armata si sta raccogliendo per invadere l’Inghilterra. Tutto è stato predisposto nei minimi particolari, ma qualcosa va storto. L’ammiraglio Pierre Villeneuve, incaricato di tenere alla larga la flotta inglese, si impappina e pasticcia nelle Antille dove, stando ai piani, avrebbe dovuto richiamare le navi nemiche per allontanarle dal Vecchio Continente. Vista fallita la sua missione, l’ammiraglio fa ritorno in Europa con i vascelli di Nelson alle calcagna. Nel frattempo, alle spalle dell’Armata un esercito austriaco si muove verso l’Italia e un esercito austro-russo verso le regioni tedesche.
Per Napoleone piove sul bagnato.
L’imperatore sente più di un brivido corrergli lungo la schiena: non può invadere l’Inghilterra , le cui navi non sono affatto nelle Antille, ma maledettamente vicine alla Manica e, in più, è sotto minaccia in Europa. C’è una sola cosa da fare: accettare il rischio, giocare il tutto per tutto, cambiare temporaneamente programma, sbarazzarsi alla svelta dei coalizzati e poi , semmai, riprendere il progetto di invasione dell’Inghilterra.
Ordina allora a Villeneuve di raggiungere il porto di El Ferrol in Galizia allo scopo di tenere sotto controllo il Mediterraneo, mentre lui, con l’Armata, si muove verso gli austro-russi per mettere in scena il solito copione: battere i nemici separatamente.
Il bel Danubio blu.
Gli austriaci gli danno una mano. Preoccupati del fronte sud o convinti dell’intenzione di Napoleone di attaccare da quella parte, essi hanno mandato verso l’Italia più di ottantamila uomini, al comando di uno dei loro migliori generali, l’arciduca Carlo; sull’altro fronte, quello tedesco, molti di meno. Perché? Perché da quella parte sono in arrivo i russi di Kutùsov e di Buxhoevden. Non sanno una cosa, però: Kutùsov ha meno di quarantamila uomini invece degli annunciati cinquantamila e Buxhoevden è molto lontano e attardato ( arriverà in zona di operazioni solo a novembre). Né sanno dell’intenzione di Napoleone di portare il colpo principale in Austria o in Germania, non in Italia , dove il maresciallo Massena, con forze ridotte, ha l’ordine di mantenersi sulla difensiva. Dunque, scarsità di informazioni, malintesi , persino equivoci sul calendario, caratterizzano, da parte alleata, le prime fasi di questa campagna.
Il generale austriaco Karl Mack, agli ordini dell’arciduca Ferdinando, convinto di poter contare sulle forze di Kutùsov in arrivo dalla Russia, occupa la Baviera e si attesta intorno alla cittadina di Ulm. Kutùsov, invece, per via del calendario russo sfasato di tredici giorni rispetto a quello gregoriano, sbaglia data facendo così mancare il proprio aiuto all’alleato.
Il povero Mack, raggiunto dai francesi e non dai russi, prima si sgancia, poi, credendoli in ritirata, si dirige di nuovo verso Ulm per sbarrare loro la strada. Un terribile errore. Convinto di avere davanti l’intero esercito nemico e non il solo Murat con la cavalleria, Mack non si cura del proprio fianco destro. E proprio lì si infilano le divisioni di Ney dopo aver attraversato il Danubio. Mack viene accerchiato, la sua armata battuta ed egli stesso- “ lo sfortunato Mack”, come si presenterà a Napoleone- fatto prigioniero.
Per un’intera giornata, i vinti sfilano davanti al vincitore, consegnando le armi e le bandiere.
Alexanderplatz.
Ora tocca ai russi. L’imperatore ha fretta. Ha imbottigliato gli austriaci a Ulm , ma ora teme, se non si sbriga, di restare a sua volta imbottigliato. Gli arciduchi Carlo e Ferdinando potrebbero unire i rispettivi eserciti; la Prussia, complice la regina Luisa decisamente antifrancese, potrebbe smetterla di tergiversare e scegliere i russi. Se tutto questo accadesse, l’Armata si troverebbe ad affrontare troppi nemici in una volta sola.
Lo zar Alessandro fiuta l’aria e si precipita a Berlino. Viene accolto con tutti gli onori, stipula un accordo con il re, gli viene persino dedicata una piazza, la celebre Alexanderplatz. L’accordo non impegna la Prussia se non sul piano diplomatico, ma, se il tentativo di far ragionare Napoleone dovesse fallire, i prussiani si impegnano a intervenire con ventimila uomini. Fatica sprecata da parte di Alessandro e speranze deluse per i russi. Quell’accordo- l’accordo di Potsdam- resterà infatti lettera morta: la Prussia , tanto per cambiare, sbollita la rabbia e superata la paura, riprenderà a muoversi con l’abituale cautela.
Napoleone non sa ancora dell’accordo, ma, presagendo il pericolo, vuole chiudere la partita alla svelta. Occupa Vienna e parte alla caccia dei russi. Dopo il disastro di Ulm, per Kutùsov è vitale congiungersi con Buxhoevden in arrivo dalla Russia e così, in buon ordine , l’esercito dello zar si ritira oltre il Danubio, verso la Moravia. Dove , a Bruenn, l’attuale Brno, si è recata anche la corte imperiale austriaca. Il ponte sul Danubio a Vienna è presidiato da un forte contingente austriaco, pronto a distruggerlo in caso di necessità. Kutùsov è convinto, insomma, di avere le spalle coperte.
Brutte notizie.
Non sa che cosa l’aspetta. Per scoprirlo, seguiamo uno dei protagonisti di Guerra e pace di Tolstoj, il principe Andreij ( Andrea) Bolkonskij, in viaggio verso Bruenn con la notizia della vittoria ottenuta a Duerstein . Non una grande vittoria, sia chiaro, ma pur sempre vittoria. L’11 novembre, il maresciallo Mortier, autorizzato da Murat, aveva attraversato il Danubio e aveva cercato di sorprendere i russi in ritirata. Gli era andata male. Una sua intera divisione, quella del generale Gazan, era stata isolata e ridotta a malpartito. I francesi si erano dovuti aprire la strada con attacchi alla baionetta, prima di riuscire a tornare al di là del Danubio, cioè da dove erano venuti
Giunto a Bruenn, il principe Andrea, prima di recarsi a corte, si imbatte in un diplomatico russo, lo spiritoso e arguto Bilìbin, uomo di mondo , distaccato e cinico, innamorato delle frasi ad effetto. Bilìbin, come al solito, fa dello spirito. “ Una vittoria? E, ditemi, è merito di qualche arciduca austriaco? Nessun arciduca? Una vittoria russa? Ahimè, a Sua Maestà , l’imperatore Francesco, questo non piacerà”.
Al principe Andrea, l’imperatore del Sacro Romano Impero appare come un personaggio scialbo e impacciato. Sembra interessato a cose prive di importanza. Che ore erano quando fu data la battaglia? Non chiede, però, quali fossero le condizioni del tempo: se lo avesse fatto, al principe Andrea sarebbero cadute le braccia. Ad ogni modo, contrariamente a quanto previsto da Bilìbin, nonostante sia stata ottenuta né da Ferdinando né da Carlo, ma da un generale russo, la vittoria di Duerstein viene apprezzata e celebrata con solenni Te Deum. E, fin qui, niente di nuovo o di diverso dal solito.
Ma la sorpresa è in agguato. E non è una sorpresa da poco. Lasciato l’imperatore e tornato da Bilìbin, il principe Andrea apprende, infatti, che i francesi sono ora, in forze, al di qua del Danubio. Possibile? Possibilissimo, gli risponde Bilìbin. Ma il ponte non è stato distrutto? No, il ponte non è stato distrutto. Ma come è potuto accadere? chiede il principe Andrea.
Spostiamoci a Vienna, allora, sul ponte Tabor e seguiamo il racconto di Bilìbin. Tre marescialli francesi, Murat, Lannes e Mortier, piume al vento e facce di bronzo, avanzano verso la posizione austriaca. A gesti e a parole fanno capire che tutto è finito: è stato stipulato un armistizio, la pace è prossima. Recitano bene, i tre. Il principe Auersperg , comandante della testa di ponte, ci casca. E mentre gli occhi di tutti sono puntati sui tre marescialli, soldati francesi si avvicinano di soppiatto alle cariche esplosive . Un sergente austriaco li vede, intuisce l’inganno e richiama l’attenzione del proprio comandante.
Murat sente la terra mancargli sotto i piedi: se il principe Auersperg presta fede a quel sergente, tutta la messinscena va a farsi benedire. E , allora, voilà, il colpo di genio :” Dove è andata a finire la tanto celebrata disciplina austriaca se si permette a un subordinato di rivolgersi in questo modo a un superiore?”, esclama Murat. Ci credereste? Punto sul vivo, il principe Auersperg fa mettere agli arresti quel sergente indisciplinato e i francesi, gettate in acqua le cariche, si impadroniscono del ponte. [1]
Nel raccontare l’episodio, Bilìbin trova la forza per riderci sopra e conia , per questo e per gli avvenimenti precedenti, un participio- “ macké”, beffati alla maniera di Mack”- di cui va molto fiero, ma il principe Andrea non apprezza e si preoccupa: se i francesi hanno oltrepassato il Danubio, Kutùsov è nei guai. E in guai grossi: rischia di essere accerchiato e di fare la fine di Mack.
Il generalissimo russo è in Austria, a Krems e, saputo quanto successo al ponte di Vienna, vàluta il da farsi. Restare lì? Sarebbe come dire ai francesi prego accomodatevi, accerchiateci pure. Filarsela attraverso le colline della Boemia? Rischiosissimo: nessuno – o quasi nessuno- dei suoi, infatti, conosce quelle zone, le strade, i sentieri, sempre ammesso che esistano strade e sentieri. Andare a Olmuetz( l’attuale Olomouc, in Repubblica Ceca), incontro alle truppe di Buxhoevden? Sarebbe l’ideale, ma come riuscire a seminare i francesi, in evidente vantaggio ? C’è poco da scegliere, però : l’unica cosa da fare è di cercare di raggiungere Olmuetz. Kutùsov fa chiamare uno dei suoi generali più coraggiosi, il principe Bagratiòn, e gli affida il compito di compiere una sorta di miracolo. O di portare a termine una missione suicida, se si preferisce.
La corsa di Bagratiòn.
Il principe Bagratiòn , congedatosi da Kutùsov, raggiunge le proprie truppe. Sa di avere per le mani un brutta gatta da pelare. I suoi quattromila uomini, non tutti bene in arnese, dovranno compiere una marcia notturna di parecchie miglia, anticipare i francesi sulla strada diretta a Znaim e trattenerli il tempo sufficiente per permettere al grosso dell’esercito russo di sfuggire all’accerchiamento.
Bagratiòn si butta a capofitto attraverso le colline della Moravia verso la strada per Znaim( l’attuale Znojmo), perde, durante la marcia, un uomo su tre per stanchezza o affaticamento e arriva all’appuntamento con qualche ora di anticipo su Murat e soci. Adesso viene il difficile: ce la farà a resistere a un esercito ben più numeroso del suo?
Bagratiòn non manca certo di coraggio, i suoi uomini sanno battersi , ma lì, la proporzione è , più o meno, di quattro a uno a favore dei francesi. Secondo Tolstoj, addirittura di otto a uno. E’ un’impresa del tutto impossibile e anche Bagratiòn lo sa. E , quando vede schierarsi i francesi, si prepara al peggio.
Lavata di capo.
Quello che non sa è che Murat ha preso un abbaglio. Il cognato di Napoleone è convinto di avere davanti qualcosa di più del piccolo contingente di Bagratiòn, forse l’intero esercito russo e vuole andare sul sicuro. Decide , così, di non attaccare subito, ma di aspettare quelle truppe ancora in marcia da Vienna e attardate.
Per prendere tempo, ripropone il giochetto così ben riuscito al ponte Tabor. Anziché far parlare il cannone, fa parlare un suo aiutante di campo. “ Perché morire per niente ? C’è già chi parla di pace, stipuliamo un armistizio di tre giorni , restiamo dove siamo e stiamo a vedere.” Bagratiòn fa sapere che informerà il generalissimo e ne aspetterà la risposta.
Kutùsov quasi non crede alle proprie orecchie: quella proposta è un colpo di fortuna insperato. Si spinge oltre. Intanto che ci siamo, dice, fingiamo anche di trattare la capitolazione, chissà che i francesi non la bevano. Manda un suo uomo di fiducia, Winzingerode, al campo francese e, intanto, ordina ai suoi di accelerare il passo e ai carriaggi di andare più svelti.
I francesi la bevono. Murat, imbaldanzito dal colpo così ben riuscito qualche giorno prima, crede di poter imbrogliare anche i russi e intavola subito le trattative. Quando lo viene a sapere, Napoleone gliene scrive di cotte e di crude. Come vi permettete di prendervi queste libertà? Non vi rendete conto di essere stato ingannato? Io accetterò l’armistizio solo se lo zar lo accetterà , ma non ad altre condizioni. Attaccate, attaccate subito o i russi ci sfuggiranno! Murat , mortificato dalla terribile lavata di testa , mette da parte i giochetti e si prepara a fare sul serio, ma intanto Kutùsov ha guadagnato tempo. Gliene serve ancora, però. Saprà darglielo Bagratiòn?[2]
Il miracolo di Bagratiòn.
I francesi sono schierati nei dintorni di Hollabruen, nei pressi del villaggio di Schoengraben. I meno di quattromila russi davanti a loro occupano alcune piccole alture e su una di esse hanno sistemato una batteria di quattro cannoni. Ai primi colpi di fucile, il principe Bagratiòn , a cavallo, compare sulla linea del fuoco. Stando a Tolstoj, non dà ordini secchi e imperiosi, non ha carte da consultare né frasi da consegnare alla storia. Il suo sguardo apparentemente inespressivo, si posa ora sui propri soldati, ora sul nemico schierato, ora sulla batteria sistemata sulla sommità della collinetta. Parla a monosillabi, si limita a rispondere “Va bene!” quando gli viene suggerita questa o quella mossa, questo o quello spostamento, questa o quella iniziativa. Secondo Tolstoj, sembra dire: “Ecco, vedete, tutto accade come io ho previsto, tutto si accorda con le mie intenzioni”. Questa sua imperturbabilità e questo suo atteggiamento distaccato hanno il potere di infondere calma e fiducia tanto nei soldati, quanto negli ufficiali.
E, tuttavia, sul campo, nonostante i tanti “ va bene” di Bagratiòn, poco va per il verso giusto. I soldati russi si sbandano, si raccolgono di nuovo, caricano e sono caricati , sono cacciati dalle posizioni occupate , le rioccupano e, subito dopo, ne vengono ricacciati non perché eseguano un piano, ma perché subiscono l’avversario e i capricci del caso. Attaccato da uno squadrone di cavalleria, un colonnello si spaventa e, non sapendo che fare, si ritira di propria iniziativa; due ufficiali , mentre tutt’intorno fischiano le pallottole, litigano per stupide questioni di puntiglio; l’artiglieria sulla collinetta, senza aver ricevuto ordini in tal senso, tira sul villaggio di Schoengraben, mandandolo, senza volerlo, a fuoco e causando non poche difficoltà ai francesi. Questi ultimi, infatti, preoccupati dall’incendio e occupati a spegnerlo, non inseguono subito i nemici, permettendo loro di arroccarsi meglio. Insomma, una gran confusione.
A un certo punto, Bagratiòn vede i nemici tentare una manovra aggirante. Fa subito avanzare due battaglioni di rinforzo. E’ un altro uomo, il principe georgiano. Non ha più lo sguardo appannato e quasi assonnato di prima , ma uno sguardo penetrante e acceso; non parla più con la voce lenta e strascicata dei primi momenti, ma, modulati col medesimo accento orientale di sempre, impartisce ordini, questa volta sì secchi e precisi. Smonta da cavallo, fa allargare i varchi perché i due battaglioni possano passare. Poi, con l’andatura ondeggiante tipica dell’ufficiale di cavalleria appiedato, muove, alla testa dei propri soldati, alla volta del nemico. L’attacco di Bagratiòn ha successo e i francesi vengono respinti. Adolphe Thiers, storico di Napoleone e l’imperatore stesso riconosceranno il coraggio dei russi in quel frangente.
La batteria sulla collina, quasi dimenticata da tutti, continua a fare il proprio lavoro. E, prima di essere ritirata, contribuisce a rallentare l’attacco di Murat diretto al centro dello schieramento di Bagratiòn . Contro ogni aspettativa, la missione ha successo : i russi, è vero, non hanno retto fino in fondo, ma neppure i francesi hanno avuto un sopravvento netto. Anzi, per qualche tempo sono stati trattenuti. Non attaccheranno più. Bagratiòn può completare il ripiegamento e ricongiungersi con l’esercito di Kutùsov, sfuggito, nel frattempo, alla morsa.
L’imbroglio.
La partita è soltanto rinviata, però. Lo sanno i russi, lo sa, soprattutto, Napoleone. Al quale, ormai, resta soltanto quella carta da giocare. Villeneuve, infatti, l’ha combinata grossa. Sentendo la propria poltrona traballare, l’ammiraglio ha forzato i tempi e gli avvenimenti: è uscito da Cadice- dove si era rifugiato a causa di un ennesimo errore- finendo dritto dritto in bocca a Horatio Nelson nei pressi di Capo Trafalgar, rimettendoci la flotta, la libertà e, più tardi, la vita( strapazzato da Napoleone, si suiciderà). Addio invasione dell’Inghilterra, dunque. La battaglia con gli austro-russi diventa, ora, questione di vita o di morte: Napoleone, il cui successo politico si regge in gran parte, se non del tutto, sulle vittorie militari, non può permettersi di sbagliare mossa.
I russi sono convinti di essere in vantaggio. Ne è convinto lo zar, ne è convinto il principe Dolgorùkov, molto ascoltato da Alessandro e fresco vincitore dei francesi a Wischau , ne sono convinti molti ufficiali dello stato maggiore. Secondo loro, Napoleone ha paura. Accade qualcosa di strano o almeno, di poco usuale, osservano : i soldati francesi, se attaccati, non reagiscono e si ritirano quasi senza sparare; quando cercano di resistere, come a Wischau, le buscano. C’è un’unica spiegazione: Napoleone non vuole la battaglia perché sa di essere nei guai. E’ il momento di dargli addosso. Attaccare per primi, non aspettare di essere attaccati, non amava dire così una delle leggende dell’esercito russo, il generale Suvòrov?
Kutùsov, invece, sente puzza di bruciato e non condivide tutto quell’ottimismo. Teme un inganno da parte di Napoleone e, se fosse per lui, tenterebbe altre strade. Confessa al conte Tolstoj, maresciallo di palazzo dello zar: “Se diamo battaglia, saremo sconfitti: ditelo ad Alessandro.” E il conte Tolstoj di rimando: “ Mio caro generale, io mi occupo dei rifornimenti , voi occupatevi della guerra..”. Come dire: pensateci voi, se proprio ve la sentite, a informare lo zar.
Kutùsov, però non si sbaglia. Napoleone alimenta ad arte voci sulla presunta debolezza del proprio esercito, finge di ritirarsi e, per essere più credibile, invia un proprio rappresentante, Savary, al quartier generale russo a parlare di pace. Alessandro rifiuta le proposte di Savary e manda a sua volta il principe Dolgorùkov da Napoleone a saggiare il terreno. In presenza dell’imperatore, il principe è volutamente provocatorio: non gli si rivolge mai con l’appellativo di “ Maestà” o di “ Sire” e durante l’intera conversazione, mantiene un atteggiamento quasi sprezzante. Napoleone, facile agli accessi di collera, si controlla e, vista la posta in gioco, ingoia il rospo. Ma non riesce a trattenersi quando gli viene chiesto di rinunciare, fra le altre cose, anche al Belgio. “ Mi chiedete Bruxelles” sbotta” Mentre sono padrone di Vienna!”
La messinscena , comunque, ha successo. Il principe Dolgorùkov è un pessimo osservatore: non sa o non vuole capire quando un uomo finge o quando fa sul serio e non si chiede neppure perché Napoleone lo incontri a due passi dalla prima linea: perché è così spaventato da avere una fretta dannata di parlamentare, come crede il principe o perché vuole nascondergli lo schieramento delle sue truppe, come è intenzione dell’imperatore? Dolgorùkov presta attenzione soltanto a ciò che lo interessa; vuole convincersi e si convince: Napoleone è in difficoltà e sta cercando, disperatamente, una via d’uscita. Ed è pure nervoso. Torna da Alessandro e glielo riferisce.
Un piano perfetto.
Un fiumiciattolo, il Goldbach, divide i due eserciti. Sulla riva orientale sono schierati i russi, su quella occidentale i francesi. Il piano di battaglia alleato, messo a punto dal conte austriaco Weirother, ha un obiettivo ambizioso: distruggere l’esercito di Napoleone tagliandogli le vie di comunicazione e di rifornimento e avvolgendolo in una grande sacca.
Quattro colonne austro- russe più l’avanguardia del generale austriaco Kienmayer dovranno forzare il fianco destro francese a sud del Goldbach, nei pressi dei villaggi di Telnitz , di Sokolnitz e di Kobelnitz, operare una conversione verso nord e congiungersi con l’ala destra di Bagratiòn .
Come aprire una grande porta, insomma : impugni la maniglia, fai forza e la porta , girando sui cardini, si muove verso destra, travolgendo e spingendo contro il muro tutto quello che le sta dietro. Il piano , dettagliatissimo e molto complicato, si basa sulla convinzione che i francesi siano in confusione, siano inferiori di numero e abbiano poca voglia di battersi; per riuscire richiede, inoltre, movimenti perfettamente sincronizzati da parte delle colonne avanzanti: il minimo contrattempo , il minimo intoppo, un ritardo anche breve, rischia di far andare tutto a carte quarantotto.
Il piano di Weirother, molto criticato a cose fatte, non è del tutto privo di logica. Esso si basa sul seguente presupposto: gli scontri frontali sono sempre dispendiosi e mai veramente decisivi perché, anche se vittoriosi, non impediscono allo sconfitto di ritirarsi per la strada da dove è venuto, sfruttando i depositi e le fortificazioni disseminati lungo il percorso. Perché sia decisivo, uno scontro deve, invece, provocare la distruzione dell’esercito nemico, non limitarsi a sloggiarlo dal campo di battaglia e costringerlo alla ritirata.
Quello di Weirother è, dunque, un progetto ineccepibile in teoria, ma, in pratica, è molto rischioso, in quanto si basa su presupposti non verificati e su informazioni incomplete. Troppe cose, ad esempio, in quel piano, sono date per scontate: i francesi non vogliono battersi, Napoleone ha forze inferiori a quelle russe , la posizione occupata dal suo esercito è nota, il suo fianco destro è debole e via di questo passo.
Anche Napoleone persegue l’ obiettivo di distruggere l’esercito nemico e non lascia niente al caso. Ha studiato attentamente il terreno, ha un’idea precisa di dove si stiano concentrando i russi e perché , può contare su truppe motivate ed esperte, sa rischiare. Si sente un po’ più tranquillo: durante la notte precedente lo scontro, dopo una marcia di cinquanta miglia, è arrivato il maresciallo Davout, partito da Vienna alla testa di due divisioni. Una, la divisione Friant, ha retto i ritmi folli della marcia ed è lì, anche se non a pieno organico, pronta a battersi; l’altra, la divisione Guvin, più lenta, è in avvicinamento. Ma, per il momento, basta anche una sola divisione per rinforzare il suo fianco destro, quel fianco destro ritenuto debolissimo dai russi.
Una lezione di geografia.
La sera precedente la battaglia, nel campo russo ha luogo un Consiglio di guerra. Weirother illustra, per l’ultima volta, i dettagli del suo piano: qualcuno segue distrattamente , altri bisbigliano, il solo generale Doctùrov si china sulle carte e prende appunti. Il generale Langeron, un francese al servizio dei russi e comandante della seconda colonna, spazientito e irritato perché Weyrother non gli permette di esprimere obiezioni, liquida il piano come “ una lezione di geografia”.
E Kutùsov? Kutùsov dorme per tutta la durata dell’incontro. Bisogno naturale di sonno come scrive Tolstoj , disinteresse per quel piano secondo lui condannato all’insuccesso, indigestione di vodka o inguaribile fatalismo?
Mentre i russi ascoltano la lezione di Weyrother e Kutùsov dorme, si avverte del movimento nel campo francese. Il principe Dolgorùkov lo trova inspiegabile: il nemico non dovrebbe trovarsi lì, ma più indietro. Eppure, i fuochi brillano sempre più numerosi e le grida si fanno più intense. Migliaia di soldati salutano, alla voce, Napoleone. Hanno da poco ascoltato il suo proclama e sono certi della vittoria. “ E mentre essi saliranno per avvolgere la nostra destra, mi presenteranno il fianco”, aveva scritto Napoleone, passando, forse inconsciamente o forse volutamente , dal plurale al singolare. Langeron aveva messo il dito nella piaga quando aveva affermato : “ Noi ci muoviamo come se le posizioni dei francesi fossero note. E se invece non lo fossero? E se i francesi non si stessero ritirando? E se non fossero dietro la porta? Se invece di scappare ci stessero aspettando da qualche parte pronti ad attaccarci?”
Gli alleati , in effetti , hanno sbagliato i calcoli o le previsioni : Napoleone è un po’ più a est di dove essi lo credono e lì, dietro l’altura dello Zurlan e invisibile ai nemici, ha ammassato il grosso del suo esercito e aspetta il momento buono per attaccare. Non ha un piano dettagliato, solo un’idea : mentre la porta russa ruota in un senso, la sua si muove in senso contrario. Un po’ come le porte girevoli di certi alberghi, attraverso le quali un ospite entra e l’altro esce o come una doppia elica che gira attorno a un perno. Saranno gli avvenimenti a dare un senso a quest’idea. E, intanto, facendo un po’ andare in bestia i propri marescialli, è avaro di particolari con tutti.
La doppia porta.
All’alba del 2 dicembre, le colonne di fanteria austro-russe, con poca cavalleria al seguito e senza essere precedute dagli esploratori-tiratori, si mettono in marcia verso gli obiettivi assegnati. In basso, la nebbia la fa da padrona, nascondendo ogni movimento e attutendo ogni rumore. In alto, sulle colline, si stende una leggera foschia, attraverso la quale brilla un sole velato, non ancora il celebre sole di Austerlitz, pieno e splendente, di qualche ora dopo.
Ancora una volta è Tolstoj a darci, meglio di altri, il quadro della situazione e a descriverci quello strano momento, fatto di euforia , di esaltazione e di confusione che sempre precede uno scontro a fuoco. Sentiamolo. I soldati russi, riscaldati dalla vodka, marciano scherzando fra di loro, scambiandosi battute in allegria. Poi, all’improvviso, viene impartito l’ordine di fermarsi e l’allegria cede il posto ai mugugni e all’insofferenza. I soldati si fermano, senza capire le ragioni di quell’ordine. Per loro la colpa è solo dei “tedeschi”, dei “ mangiasalsicce” dello stato maggiore, ignoranti , spocchiosi e pasticcioni.
Che cosa è successo? Semplice: fra il centro e l’ala destra di Bagratiòn c’è un varco troppo esteso e , proprio per colmarlo in qualche modo, la cavalleria del principe Lichtenstein e di Uvàrov viene inviata in direzione del fianco destro russo. E così, migliaia di cavalleggeri si spostano da destra verso sinistra dello schieramento o da est verso ovest se si preferisce, tagliando perpendicolarmente il campo e scompaginando le file delle colonne in marcia o costringendole ad arrestarsi. E pensarci prima, no? Davvero un bell’inizio per il piano perfetto di Weirother.
Passati i cavalleggeri di Lichtenstein , la fanteria riprende la marcia . Ma, intanto, si è perso tempo prezioso. Il generale Kienmayer con l’avanguardia raggiunge il villaggio di Telnitz, mentre le altre colonne, quella di Doctùrov , all’estrema sinistra, quella di Langeron sul fianco destro di Doktùrov e , oltre Langeron, quella di Prezebysky , tutte al comando di Buxhoevden , lo seguono da vicino. Si odono i primi colpi di fucile: è cominciato , per usare le parole di Tolstoj, “ lo scontro sul fiumicello Goldbach ”.
Telnitz si trova sulla riva orientale del Goldbach, quindi nella zona controllata dai russi e lì, secondo le previsioni, non dovrebbero esserci francesi. Invece, i francesi ci sono, eccome. Pronti a resistere il più a lungo possibile, come ha ordinato Napoleone. Davout ha schierato i suoi , compresa la divisione Friant, a difesa del villaggio e Kienmayer si trova davanti un ostacolo imprevisto e un osso maledettamente duro. Non passa e patisce perdite elevate. Poi, vedendo avvicinarsi la colonna di Doktùrov, i francesi cominciano a ritirarsi, combattendo, però, casa per casa. Insomma, è passato già un bel po’ di tempo e le colonne russe non hanno ancora attraversato il Goldbach. La porta di Weirother gira su cardini poco oliati. Butta male.
Al centro dello schieramento si eleva una piccola altura. Riveste un’importanza strategica notevole e si trova in mano russa. Per la verità, quell’altura, l’altura del Pratzen , era stata occupata dai francesi nei giorni precedenti la battaglia e poi ceduta quasi subito ai russi nell’ambito della messinscena architettata da Napoleone per ingannare i nemici. Se abbandono una posizione forte come il Pratzen , potranno dubitare i russi della mia volontà di ritirarmi e di non combattere? questo, più o meno, era stato il ragionamento di Napoleone. Nessuno aveva capito quella mossa e molti, il maresciallo Soult in particolare, avevano mugugnato. Invano, come al solito.
Ma adesso, lì, lungo i fianchi del Pratzen, invisibili ai russi, stanno salendo due delle migliori divisioni dell’Armata, quella del generale Vandamme e quella del generale Saint Hilaire. E, mentre i francesi salgono, i russi… scendono. Proprio così: per eseguire il piano di Weirother, la quarta colonna, agli ordini dei generali Miloràdovic, russo e Kollowrath, austriaco , lascia il Pratzen dal fianco opposto a quello dei francesi , per raccogliersi nella bassura e , poi, dirigersi a ovest, verso il villaggio di Kobelnitz.
Siccome lì, con la colonna , c’è anche Kutùsov, le cose procedono a rilento. Il generalissimo vede trappole dappertutto e, prudentemente, preferisce prendere tempo, rinunciando a muoversi. Non è dello stesso avviso lo zar, arrivato a cavallo sul campo di battaglia . Alessandro, nell’ uniforme nera dell’esercito russo, si rivolge a Kutùsov con tono deciso: “ Ebbene, Michaìl Ilariònovic, perché non cominciate?”. Il generalissimo risponde che non comincia perché mancano ancora alcuni reparti. “ Credete forse, di essere sulla spianata della zarina a Pietroburgo, quando, per cominciare la sfilata, tutti i reparti devono essere presenti?” si spazientisce Alessandro. “ Proprio perché qui non siamo sulla spianata della zarina e proprio perché questa non è una sfilata preferisco aspettare” replica Kutùsov” Tuttavia se questa è la Vostra volontà, eseguirò”, conclude accompagnando le parole con un leggero inchino. Fa chiamare il generale Miloràdovic e impartisce l’ordine di avanzare.
E mentre la colonna russa si muove, sulle alture del Pratzen compaiono, perfettamente allineati , i reparti di testa delle divisioni Vandamme e Saint Hilaire.
La disfatta.
Torniamo a Guerra e pace e seguiamo un giovane ufficiale degli ussari al galoppo lungo il campo di battaglia. Nicola ( Nicolaj) Rostòv ha ricevuto l’incarico dal suo comandante, il principe Bagratiòn, di recarsi dal generalissimo per ricevere conferma dell’ordine di entrare in azione. Sono, più o meno, le nove del mattino. Il fianco destro dello schieramento russo, quello affidato a Bagratiòn e opposto al maresciallo Lannes, non è stato ancora impegnato e il principe , forse presagendo il peggio, non ha alcuna intenzione di dare retta a Dolgorùkov che, a più riprese, gli “ consiglia” di avanzare . Mandando Rostòv da Kutùsov, Bagratiòn ragiona, più o meno, così: se andrà male, cioè se il messaggero sarà ferito, ucciso o fatto prigioniero, l’ordine del generalissimo non tornerà mai ; se andrà bene, cioè se il messaggero riuscirà a incontrare Kutùsov, l’ordine , nella migliore delle ipotesi, arriverà dopo parecchie ore. In altre parole, troppo tardi per essere eseguito. Nel frattempo si vedrà.
Il campo di battaglia è avvolto dal fumo degli spari e dalla nebbia e Rostòv, in sella al suo Beduino, non ha facili punti di riferimento. Vaga di qua e di là, senza sapere bene dove; vede soldati correre da tutte le parti; sente i cannoni tuonare; vede i reparti di elite della Guardia russa a cavallo lanciarsi contro i corazzieri nemici; gli sembra di vedere, classico esempio di “ fuoco amico”, soldati austriaci sparare contro i russi e viceversa: vive, in altre parole, episodi slegati , senza riuscire a cogliere il senso complessivo degli avvenimenti . Poi, dopo qualche ora trascorsa nella vana ricerca del generalissimo, quando il sole di Austerlitz si è alzato nel cielo, distingue chiaramente i francesi : non sono davanti ai russi , sono alle spalle dei russi . Non è vero , dice a se stesso, non può essere vero.
E invece è vero, drammaticamente vero. Nelle pagine di Guerra e pace , Tolstoj ci fa vedere con gli occhi di Rostòv il momento in cui i soldati austro- russi della quarta colonna, quella di Kollowrath e di Miloràdovic, sono definitivamente in fuga davanti al nemico. Che cosa è accaduto? Mentre Rostòv, partito dall’ala destra dello schieramento, galoppa alla ricerca di Kutùsov, al centro la quarta colonna alleata inizia il movimento verso Kobelnitz. Si è mossa da poco, quando, come abbiamo visto, sul crinale del Pratzen compaiono , del tutto inaspettati, i francesi. Il panico si diffonde in un baleno, e i soldati russi, benché molto più numerosi dei nemici, abbandonano i ranghi e fuggono. Invano Kutùsov in persona , benché ferito , cerca di trattenerli. ” La ferita è là” esclamerà indicando a chi gli presta soccorso i suoi soldati in fuga e i nemici padroni delle alture. L’”altra” porta, quella spinta da Napoleone ha cominciato a girare.
Tuttavia, passato il primo momento di panico, si tenta una reazione. Improvvisata, per altro, e quindi destinata a fallire. Langeron manda rinforzi verso la coda della colonna, attaccata con decisione dai francesi e Vandamme, premuto contemporaneamente da due parti è in difficoltà. Ma è questione di poco. I russi , sorpresi di brutto, non ce la fanno a cambiare ordine di battaglia, cedono, si sbandano e fuggono.
Al centro dello schieramento, un po’ più arretrato rispetto alla colonna di Miloradovic e di Kollowrath, il fratello dello zar, l’arciduca Costantino, è di riserva con le proprie truppe. Del tutto ignaro della piega presa dalla battaglia sia sul Goldbach, sia nei dintorni del Pratzen, si trova davanti inaspettatamente i francesi e viene coinvolto in uno scontro durissimo, nel quale, dopo brevi e, ad onor del vero, brillanti successi iniziali, ha la peggio. Dopo la sconfitta di Costantino, i russi non hanno più riserve. Anche la Guardia Nobile, l’elite dell’elite, battutasi con grande valore, è stata decimata. “Questa sera , molte signorine di Pietroburgo verseranno le loro lacrime” è il commento di Napoleone. Perfidia o compassione?
Sul fianco destro russo va anche peggio. La cavalleria austro-russa di Lichtenstein e di Uvàrov, chiamata a chiudere il “ buco” fra il centro e Bagratiòn, viene praticamente distrutta. I fanti del maresciallo Lannes, quasi tutti veterani, la affrontano non chiusi in quadrato, come era prassi comune, ma schierati in linea , bersagliandola con scariche di fucileria e di mitraglia, impedendole di trovare l’usuale via di fuga lungo i fianchi di un quadrato e, privandola, quindi, della possibilità di raccogliersi e di ritornare alla carica. Bagratiòn, vista la brutta piega presa dagli avvenimenti, non ci pensa due volte, agisce di testa propria e ordina la ritirata.
E’ premuto dalla fanteria di Lannes e minacciato da Murat. Lo salvano gli zaini dei propri uomini, abbandonati sul campo e l’eccessiva prudenza del re di Napoli. I russi, per potersi muovere meglio durante il combattimento, si sono liberati di tutto il peso superfluo, zaini compresi. Ce ne sono circa diecimila, a pochi passi dai francesi. I fanti di Lannes , quando vedono tutti quegli zaini senza proprietario , vogliono impadronirsene, si fermano e regalano tempo prezioso al principe russo. Cercano oggetti di valore. Resteranno delusi : in ognuno di quegli zaini ci sono solo un’immagine di San Cristoforo e una pagnotta di pane nero.
Murat, dal canto suo, potrebbe intervenire, ma non lo fa: vuole risparmiare la propria cavalleria per l’inseguimento del nemico. Fra poco Napoleone gli chiederà di incalzare i fuggitivi e, allora, meglio andarci piano e conservare freschi cavalli e uomini per quel momento. Bagratiòn , graziato dalla cupidigia dei soldati di Lannes e dal desiderio di Murat di non sfiancare i cavalli, si muove con ordine , spregiudicatezza e coraggio, raccoglie i superstiti della Guardia e riesce a togliersi dai guai.
Anche il resto dell’esercito alleato , dopo la prima spallata ricevuta dalle divisioni Vandamme e Saint Hilaire, potrebbe ancora salvare il salvabile, riorganizzarsi e ritirarsi senza sbandare, ma la fuga disordinata e scomposta ha mandato in tilt l’intera catena di comando. Non solo Kutùsov viene isolato da tutti, impossibilitato a farsi un’idea della situazione e tentare di porvi rimedio; non solo Buxhoevden è partito di testa o è ubriaco e non prende decisioni, ma anche lo zar viene separato dal generalissimo e da gran parte del proprio seguito. Risultato: nessuno dà ordini e nessuno ne riceve. E’ il caos.
Rostòv , il cui unico desiderio è quello di incontrare Alessandro e di parlargli , se lo trova a un certo punto davanti, solo, nelle retrovie. Viene preso da scrupoli, si sente in soggezione di fronte al proprio sovrano, considera inopportuno avvicinarlo e rinuncia a rivolgergli la parola. “ Chissà quali pensieri, quali preoccupazioni avrà, in questo momento” , si dice. E fa cambiare direzione al suo Beduino, spingendolo altrove. Solo letteratura? Certamente , ma, di sicuro, in quel giorno di sangue e di confusione, lo zar se la vide davvero brutta. Al punto da restare, alla fine, non solo quasi senza guardia del corpo ma anche senza bagaglio, caduto in mano nemica. E così, Alessandro, se vorrà cambiarsi la camicia, se ne dovrà fare prestare una dal fratello…
A questo punto, a Napoleone non resta che aprire del tutto la porta: fa girare il suo centro intorno ai cardini del Pratzen e travolge le colonne dell’ala sinistra austro- russa in ritirata da Telnitz e da Sokolnitz . Il generale Kienmayer è il solo a cavarsela bene: si difende con ordine e riesce a sfilare oltre gli stagni ghiacciati del Satchan , posti a sud del campo di battaglia. Buxoevden , invece, punta dritto verso gli stagni e riesce nell’impresa di mettere fuori uso l’unico passaggio percorribile: una passerella troppo debole per reggere il peso dei cannoni. E’ famosa la frase pronunciata dal generale russo una volta arrivato, solo o quasi, sulla sponda opposta : “ Sono stato abbandonato da tutti!”.
Per gli altri è dura. I francesi hanno bloccato il passaggio utilizzato da Kienmayer. L’unica via percorribile sono, ora, le paludi ghiacciate. Reggeranno?
I soldati si avventurano sulla superficie gelata e i francesi aprono il fuoco con i cannoni. Il ghiaccio si spezza e molti fuggitivi muoiono affogati. Il bollettino ufficiale della Grande Armata parlò di ventimila morti. Decisamente molti, decisamente troppi. Gli stagni del Satchan non sono propriamente la Fossa delle Marianne: c’è si e no un metro e mezzo d’acqua fra la superficie e il fondo. Se il ghiaccio si spezza, un uomo anche se cade in maniera scomposta, fa in tempo a rialzarsi e proseguire, a meno che non sia ferito o gravato dal bagaglio. Lo zaino pesante, infatti, può tirarlo a fondo e trattenervelo. Nel giugno del 1944, durante lo sbarco in Normandia, alcuni soldati alleati morirono affogati in pochi centimetri d’acqua perché trascinati e immobilizzati sul fondo troppo a lungo dal pesante equipaggiamento. Ma sulle rive degli stagni del Satchan , quasi tutti i soldati non hanno più equipaggiamento: va bene se riescono a stringere ancora un fucile.
E c’è di più. Qualche tempo dopo la battaglia, gli austriaci fecero dragare gli stagni per recuperare i corpi dei caduti: ne trovarono pochissimi, qualcuno dice soltanto due. Gli abitanti del luogo videro benissimo i cannoni francesi prendere di mira le file di soldati sulle rive, ma non parlarono di migliaia di morti per annegamento. Tolstoj stesso tratta questo episodio quasi di sfuggita.
Ma, allora, perché quelle cifre? La spiegazione potrebbe essere questa: Austerlitz doveva essere consegnata al mito. E il mito si costruisce anche sparandole grosse e presentando all’opinione pubblica, alla Storia , a chi volete, cifre da capogiro ed eventi quasi soprannaturali. Già Erodoto, lo storico greco vissuto duemila e cinquecento anni fa, lo aveva capito alla perfezione. Non si contano le frasi celebri pronunciate da Napoleone e dai suoi ufficiali prima , durante e immediatamente dopo Austerlitz; una volta smesso di combattere, il testo del proclama alle truppe fu ritoccato in alcuni punti per renderlo più solenne ; non ci si stancò di insistere sulla coincidenza della data della battaglia con quella dell’incoronazione di Napoleone a imperatore; persino il sole fu tirato in ballo. Insomma, allo scopo di creare la leggenda di Austerlitz, la “sua” leggenda, Napoleone non si accontentò di far fondere i cannoni strappati ai nemici e di offrirli alla pubblica ammirazione, sotto forma di colonna in Place Vendome a Parigi: fece di più. Quella austro-russa doveva sembrare una disfatta totale e terribile. Ed esemplare. E quale immagine migliore di migliaia di uomini morti affogati? I bollettini ufficiali , i memorialisti e i marescialli si adeguarono e il mito prese corpo
Ma la disfatta alleata fu davvero una disfatta di enormi proporzioni? Fu una brutta batosta certamente , ma qualcosa si salvò. Kutùsov, superati i primi momenti di sbandamento, recupera la calma e studia la situazione. Invia aiutanti di campo a Bagratiòn, a Doctùrov, a Kienmayer e agli altri comandanti , ordina di raggrupparsi, di abbandonare i carriaggi e il bagaglio e di dirigersi verso sud-est, verso l’Ungheria, dove sta arrivando anche l’arciduca Carlo alla testa del suo esercito tenuto troppo a lungo e inutilmente in Pianura Padana. La manovra riesce. Murat con la cavalleria, risparmiata per questo momento, parte in direzione opposta, verso Olmuetz, convinto che lì si dirigeranno gli sconfitti. Gli scampati alla carneficina ( mezzo esercito? Qualcosa in meno?) riparano in Ungheria, evitando Murat tornato precipitosamente sui propri passi, ma non sono più un esercito. Ci sarebbero voluti mesi, forse anni, per ricostruirlo, armarlo, addestrarlo.
Da leggere:
Chandler, David, Le campagne di Napoleone, Bur, 2006
Gallo, Max, Il sole di Austerlitz, Milano, 2003
Sebald, Winifried, Austerlitz, Adelphi, 2002
Valzania, Sergio, Austerlitz, la più bella vittoria di Napoleone, Mondadori, 2005
In questo sito:
Il piano degli Sciti ( Napoleone in Russia fra storia e letteratura)
Parte Prima
I russi evitano il combattimento e si ritirano: lo fanno apposta?
Parte Seconda
Napoleone abbandona Mosca e Kutusov lo lascia fare.
La legna bagnata
Fabrizio del Dongo, in confusione totale, gioca a fare il soldato a Waterloo.
Clicca qui per leggere l’articolo.
Zona Cesarini.
Marengo: una battaglia già persa vinta all’ultimo minuto.
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Cartina della battaglia: la “lezione di geografia”
Geography and History.
http://www.roebuckclasses.com/101/…/maps/mapausterlitz.htm
[1] Questa è la versione di Tolstoj. Quella di molti storici è diversa. Insieme a Murat e a Lannes non c’è Mortier, ma il generale Bertrand; non è il principe Auesperg a comandare la testa di ponte sul Tabor, ma un colonnello, e chi individua la manovra francese non è un sergente, ma un capitano dell’esercito austriaco. Anche il “ colpo di genio” di Murat non è accertato. Ad ogni modo, al di là della presenza di questo o di quel generale, di questo o di quel maresciallo, i francesi, senza sparare un colpo, si impossessano del ponte.
[2] C’è anche un’altra versione, secondo la quale non è Murat a proporre l’armistizio, ma Kutùsov, nell’intento di guadagnare tempo per il proprio esercito; a parlamentare non viene inviato Winzingerode, ma il principe Dolgorùkov. Del tutto vera e non frutto di fantasia, la lavata di testa di Napoleone a Murat.